Giuseppe Parini — Il mattino

Sorge il mattino in compagnia dell'alba Dinanzi al sol che di poi grande appare Su l'estremo orizzonte a render lieti Gli animali e le piante e i campi e l'onde. Allora il buon villan sorge dal caro Letto cui la fedel moglie e i minori Suoi figlioletti intiepidír la notte: Poi sul dorso portando i sacri arnesi Che prima ritrovò Cerere o Pale Move seguendo i lenti bovi, e scote Lungo il picciol sentier dai curvi rami Fresca rugiada che di gemme al paro La nascente del sol luce rifrange. Allora sorge il fabbro, e la sonante Officina riapre, e all'opre torna L'altro dí non perfette; o se di chiave Ardua e ferrati ingegni all'inquieto Ricco l'arche assecura; o se d'argento E d'oro incider vuol gioielli e vasi Per ornamento a nova sposa o a mense. Ma che? Tu inorridisci e mostri in capo Qual istrice pungente irti i capelli Al suon di mie parole? Ah il tuo mattino Signor questo non è. Tu col cadente Sol non sedesti a parca cena, e al lume Dell'incerto crepuscolo non gisti Ieri a posar qual nei tuguri suoi Entro a rigide coltri il vulgo vile. A voi celeste prole a voi concilio di semidei terreni altro concesse Giove benigno: e con altr'arti e leggi per novo calle a me convien guidarvi. Tu tra le veglie, e le canore scene, e il patetico gioco oltre piú assai producesti la notte; e stanco alfine in aureo cocchio, col fragor di calde precipitose rote, e il calpestìo di volanti corsier, lunge agitasti il queto aere notturno, e le tenèbre con fiaccole superbe intorno apristi, siccome allor che il Siculo terreno dall'uno all'altro mar rimbombar feo Pluto col carro a cui splendeano innanzi le tede de le Furie anguicrinite.


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