Giuseppe Parini — La Vergine Cuccia

Qual anima è volgar la sua pietade all’uom riserbi; e facile ribrezzo dèstino in lei del suo simile i danni, i bisogni e le piaghe. Il cor di lui sdegna comune affetto; e i dolci moti a più lontano limite sospinge. - Pèra colui che prima osò la mano armata alzar su l’innocente agnella e sul placido bue; né il truculento cor gli piegaro i teneri belati, né i pietosi ruggiti, né le molli lingue, lambenti tortuosamente la man che il loro fato, ahimè! stringea. – Tal ei parlava, o signore; e sorge intanto, al suo pietoso favellar, dagli occhi della tua dama dolce lagrimetta, pari a le stille tremule, brillanti, che a la nova stagion gemendo vanno da i palmiti di Bacco, entro commossi al tiepido spirar de le prim’aure fecondatrici. Or le sovviene il giorno, ahi fero giorno! allor che la sua bella vergine cuccia de le Grazie alunna, 520 giovenilmente vezzeggiando, il piede villan del servo con l’eburneo dente segnò di lieve nota: ed egli audace con sacrilego piè lanciolla: e quella tre volte rotolò; tre volte scosse 525 gli scompigliati peli, e da le molli nari soffiò la polvere rodente. Indi i gemiti alzando: Aìta, aìta, parea dicesse; e da le aurate volte a lei l’impietosita Eco rispose: 530 e dagl’infimi chiostri i mesti servi asceser tutti; e da le somme stanze le damigelle pallide, tremanti, precipitâro. Accorse ognuno; il volto fu spruzzato d’essenze a la tua Dama. 535 Ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore l’agitavano ancor; fulminei sguardi gettò sul servo, e con languida voce chiamò tre volte la sua cuccia: e questa al sen le corse; in suo tenor vendetta 540 chieder sembrolle: e tu vendetta avesti, vergine cuccia de le Grazie alunna. L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo udì la sua condanna. A lui non valse merito quadrilustre; a lui non valse 545 zelo d’arcani ufici: in van per lui fu pregato e promesso; ei nudo andonne, dell’assisa spogliato, ond’era un giorno venerabile al vulgo. In van novello Signor sperò; ché le pietose dame 550 inorridîro, e del misfatto atroce odiâr l’autore. Il misero si giacque con la squallida prole, e con la nuda consorte a lato, su la via spargendo al passeggiere inutile lamento: 555 e tu, vergine cuccia, idol placato da le vittime umane, isti superba. (da Il Mezzogiorno, in: Il Giorno , 1765, vv. 517-556)


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